Volgarizzare e tradurre
A quali criteri obbediva tra Medioevo e Umanesimo la pratica della traduzione? Come veniva definita? Quali erano gli obbiettivi della trasposizione da una lingua all'altra? A questi interrogativi Gianfranco Folena risponde percorrendo rigorosamente i testi più significativi fra Due e Quattrocento, con il proposito di illustrare l'importanza cruciale della traduzione nella diffusione della cultura e le diverse concezioni che l'hanno ispirata. La problematica del tradurre assume nel Medioevo un valore assai più ampio e più generale rispetto all'Antichità: dal contatto con altre lingue e culture nasce una complessità nuova. Se la prevalente concezione didattica e strumentale spiega la scarsa elaborazione concettuale del tradurre, la personalità di Dante come teorico della traduzione spicca per capacità innovativa. Fondamentale nell'esperienza culturale, religiosa e letteraria del Medioevo romanzo, la prassi della traduzione acquista il massimo rilievo tra Tre e Quattrocento. Va maturando una visione più circoscritta autonoma con l'affermarsi, sopratutto nella traduzione dai classici latini, dall'ideale della "traduzione artistica" e, nelle tarduzioni dal greco in latino, di una ermeneutica nuova, alla quale corrisponde la diffusione latina e romanza di un neologismo semantico, traducere, tradurre, ecc.
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