Caro Michele
Riproporre oggi questo libro di Natalia Ginzburg significa ripercorrere una storia di un figlio in ogni senso perduto. Un figlio, Michele, andato via di casa giovane, che vive in scantinati con amici misteriosi, che si sposa in un paese lontano va a morire in circostanze poco chiare. La madre lo potrà piangere, ma non carpirne i segreti, i bisogni e i dolori che lo hanno accompagnato.Natalia Ginzburg era affascianta dagli epistolari. Ha sempre ritenuto che le lettere fossero una traccia particolarmente efficace per ricostruire itinerari di narrazione e di verità negli intrichi dei rapporti umani. Non a caso uno dei suoi libri più belli, "La famiglia Manzoni", è un montaggio di lettere vere che, nelle sue mani, diventano un romanzo. E non a caso curò la "Vita attraverso le lettere" di Cechov, altro libro di grande seduzione narrativa. Non ci si deve stupire più di tanto, dunque, se "caro Michele" fece rivivere un genere letterario che sembrava in disuso: il romanzo epistolare. Recuperando una forma antica del narrare, la Ginzburg vi innestava con naturalezza i propri temi preferiti: la famiglia, i rapporti fra le generazioni, le vicinanze e le lontananze, le presenze e le assenze."Caro Michele" è un romanzo all'insegna della dispersione dei sentimenti e della loro incomunicabilità, all'insegna, soprattutto, della solitudine. Ogni personaggio non riconosce più interlocutori, parla (scrive) per se stesso, come se fosse finito il tempo di scambiarsi dei messaggi. Per questo la scelta del genere epistolare suona provocatoria e nello stesso tempo fortemente simbolica. La Ginzburg edifica un'impalcatura di comunicazione che crolla sui personaggi. Negli interstizi delle loro parole, dove si dovrebbero annidare le ragioni dei comportamenti, affiora solo il vuoto, l'inesistenza dei legami. Sotto le formule epistolari, i sentimenti sono solo probabili. Comunque insondabili.