Falsari e critici. Creatività e finzione nella tradizione letteraria occidentale
Perché si scrive un falso? Per dimostrare la propria bravura, per irridere colleghi e avversari, per calcolo politico, per convalidare una tesi provocatoria, una tradizione religiosa in crisi o una ortodossia dottrinaria... Di fatto, da oltre duemila e cinquecento anni migliaia e migliaia di documenti, spesso di ottima qualità, sono riusciti a ingannare i lettori ai quali erano destinati, svolgendo un ruolo di primo piano nell'evoluzione del pensiero religioso, politico o letterario.Ricca è la casistica degli affascinanti falsi d'autore promossi da quel "fratello criminale" della critica che è la frode letteraria. Nel IV secolo a.C. Dionisio di Eraclea compone una tragedia per prendersi gioco del pomposo Eraclide; e Carlo Sigonio affianca falsi clamorosi alle sue stesse eccellenti edizioni di Cicerone. Persino il grande Erasmo non disdegna i piaceri della frode, spacciando per autentico un martirologio che dà man forte alle proprie tesi.Come dimostra in questo volume Anthony Grafton, l'arte della falsificazione ha avuto tuttavia un merito paradossale, quello di spingere critici e filologi che se ne sono occupati ad elaborare strumento sempre più raffinati per smascherarla: una rincorsa che di fatto ha prodotto una più autentica e profonda comprensione del passato. Al punto che, come scrive l'autore, nella tradizione occidentale la figura del falsario e quella del critico si sono via via intrecciate in modo sempre più inestricabile e produttivo, attraverso uno scambio di metodi e di stimoli. Come accade in letteratura, è la qualità della finzione a produrre l'unica verità possibile, quella della creazione artistica.Scritto con un linguaggio accessibile anche al lettore non specialista, il saggio di Grafton dimostra che "l'esercizio della contraffazione è solo uno dei tanti possibili modi per confrontarsi col passato".
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