Eretici italiani del Cinquecento
Negli anni Trenta di questo secolo, Delio Cantimori -allora, un giovane intelletuale italiano, che si considerava fascista di sinistra e attendeva dal fascismo la rivoluzione italiana - si dedicò allo studio degli eretici italiani del Cinquecento. Partendo dalla celebre affermazione di Francesco De Sanctis - "il Lutero italiano fu Fausto Socini" - Cantimori muoveva confusamente alla ricerca del contributo italiano alla Riforma europea e lo trovava non nei seguaci irrequieti che erano stati considerati eretici da tutte le chiese. Nell'Europa del Cinquecento, aspramente divisa dalle controversie religiose della Riforma, furono numerosi gli italiani esuli per causa di religione. Usciti dagli Stati italiani per cercare altrove un luogo dove vivere in pace secondo le loro idee, finirono in genere per integrarsi nelle nuove comunità. Ma ci fu un gruppo di esuli italiani che restò inassimilabile e spiccò per la sua inquietudine intellettuale e religiosa e per la sua tendenza verso scelte radicali: in essi, l'analisi di Cantimori ritrovò unite la critica nazionale dei dogmi, anche dei più venerati e dei più gelosamente difesi - come quello della Trinità - e una tendenza a vivere il cristianesimo come imitazione di Cristo e come misticismo della redenzione. Ribelli a ogni forma di comunione ecclesiastica e condannati come eretici da tutte le chiese costituite, portarono il loro spirito inquieto attraverso l'Europa del Cinquecento, facendo sentire la loro voce quando le chiese ricorrevano all'uso della forza per piegare le coscienze: presenza sotterranea, costretta a elaborare una strategia fatta di simulazione e dissimulazione - il "nicodeismo"" - questi eretici italiani del Cinquecento restarono legati al loro paese dall'attesa di una rigenerazione effettiva e generale della vita religiosa che trasformasse in senso cristiano i costumi e la vita sociale e si rifiutarono di considerare avvenuta la "riforma", il rinnovamento generale della società.