I sonetti
Pico della Mirandola (1463-1494), filosofo, umanista, amico di Lorenzo il Magnifico e del Poliziano, non è certo ricordato oggi per i suoi versi in volgare. Anzi, fu lui stesso a rinnegarli negli ultimi anni di vita affidandoli a un rogo, non si sa quanto reale o metaforico. Di fatto il lascito della poesia pichiana appare limitato a una sessantina di testi, di cui il gruppo più consistente e organico è rappresentato dai 45 sonetti ospitati nel codice italiano 1543 della Biblioteca Nazionale di Parigi. Dimenticati per quattro secoli, essi furono pubblicati parzialmente in due occasioni solo nel 1894, nel quarto centenario della morte. Ora per la prima volta, dopo cento anni esatti, vengono qui proposti integralmente, a cura di Giorgio Dilemmi.Il modello a cui Pico si rifà è in sostanza il Petrarca, ma il registro prescelto è quello dell'argomentazione anzichè del sentimento. Anche in rima Pico molto interroga, avverte, medita, sentenzia, e poco sospira: un atteggiamento d poesia "filosofica" che il gusto cinquecentesco avrebbe cancellato completando l'opera di autocensura realizzata dall'autore stesso.
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