I fiori del male e altre poesie
Come ha scritto Giovanni Macchia, Baudelaire "si avvicina a noi mano a mano che il tempo sembra distaccarlo". Questo effetto, innegabile per quanto riguarda il profilo d'insieme della sua creazione letteraria e del suo pensiero estetico, si fa ancora più acuto e quasi sconcertante se lo sguardo si concentra sul suo capolavoro poetico, "Les fleurs du mal", che dalla sua prima comparsa in volume non ha mai cessato di alimentare il vario e movimentato fluire di quella che siamo abituati a chiamare la poesia moderna. In realtà , si ha l'impressione che ciascuno dei poeti- a volte non meno grandi di lui - che hanno visto in Baudelaire un percorso non abbia fatto che sviluppare una sola delle tante direzioni o indicazioni implicite nella sua opera, dove l' invenzione della poesia pura, basata sulla musicalità assoluta e sulle ineffabili corrispondenze tra i profumi, i colori e i suoni, si accompagna e si intreccia in modo inestricabile al potente connubbio o compromesso tra poesia e prosa, verticalità e orizzontalità, sublime e comico. Proprio dalla grandiosa, inesauribile complessità della pronuncia poetica baudleriana prende le mosse la nuova traduzione di Giovanni Raboni, in gran parte riscritta rispetto alla sua precedente del 1987, uscita sempre da Einaudi, nei Supercoralli. Rifiutando le soluzioni, opposte e ugualmente inadeguate, dell'isometrismo e dell'informale metrico, Raboni ha puntato su una forma a suo modo rigorosa anche se non codificata a priori, capace di evocare nella nostra lingua e all'orecchio di un lettore contemporaneo quell'arte della dissonanza, più sottile e più delicata che non l'arte della conoscenza, nella quale, secondo Albert Thibaudet, consistono la specificità e il mistero dell'arte di Baudelaire.
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