Le ceneri del Montiferro

Le ceneri del Montiferro

Sardegna anni Cinquanta. Raimondo Quesada è il rampollo di una rica e vecchia famiglia. Corpo estraneo a essa, come a tutta la piccola ma complessa società locale. Rifiuta la corte lunga e assidua della quasi cugina Paola e mantiene invece in "Continente", a Roma, una donna emigrata dal paese, dalla quale ha un figlio. Scomparirà in modo triste e misteioso, così come in modo triste e misterioso ha vissuto. La rievocazione della sua vita ha il passo di una ricerca frantumata in mille materiali sfuggenti(lettere, ritagli di giornali, volantini elettorali, verbali dei carabinieri) e in tre blocchi temporali (1950, 1957-58 e infine , morto Raimondo, 1966). Prospettive cangianti: quali verità? Il po' di luce che si cerca di gettare sul personaggio cade su quanto gli sta attorno. Subito, appunto la famiglia: uno zio uomo di spicco della politica d'una provincia, trombone archeologico e quasi incolpevole trasformista; una zia dolce e svanita; una madre troppo presto libera e infelice, fuggita di casa con scandalo; un padre morto troppo presto, mai conosciuto; Maria, la mantenuta, sfiorata, fin da bambina, dalla violenza e dal disprezzo, di classe e sesso; e poi riti di circoli cittadini, luoghi di vacanza oltremare, minimi cabotaggi di beghe, politiche e no: ma soprattutto i paesaggi remoti e i silenzi del Montiferro. Quanti anni di solitudine? Vero protagonista della storia, forse è il tempo. Che, mentre offre ipotesi di cause ed effetti, imbroglia le carte, disperde il senso (Torna all'autunno già... ripete la canzonetta di un'età d'oro). I tre blocchi temporali si intrecciano continuamente: avanti e indietro proprio come il trenino del Montiferro. Come i sentimenti che mutano, le cose che trovano la loro morte naturale nel non essere più se stesse. Mentre il vero assente, in un romanzo sull'assenza e sulla fuga, è un definito punto di vista della narrazione. Il singolare fascino del libro è dato dalla sua tonalità, una sorta di falsetto continuo, che viene [...]
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