Musica, danze e riti degli indios del Perù
José Maria Arguedas scrisse la maggior parte di questi articoli tra la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta, nel periodo decisivo della sua formazione letteraria e antropologica. Sono scritti brevi, concepiti per un pubblico vasto e caratterizzati da un'adesione puntigliosa e appassionata al dato descrittivo. La descrizione di riti, costumi, feste riflette i mutamenti indotti dai processi di modernizzazione. La commercializzazione dei prodotti artigianali tende a spegnere la creatività e a imporre stereotipi sempre più devitalizzati. Contro questo svilimento, si rivendica la nobiltà e la bellezza di un mondo negato dalla cultura ufficiale. La musica è una delle manifestazioni in cui si coglie con più evidenza la flessibilità della cultura indigena e la sua capacità di aprirsi al nuovo. Il rapporto con la natura è un elemento cardine della visione andina del mondo, fondata su una nozione del sacro come presenza diffusa. In questi lavori è anche possibile vedere una sorta di laboratorio, all'interno del quale si vanno definendo alcune delle immagini e dei miti fondamentali della narrativa di Arguedas. Alla radice di queste corrispondenze c'è una concezione del lavoro antropologico che non stabilisce nessuna barriera disciplinare nei confronti della pratica letteraria. Queste testimonianze raccolte con fervore alimentano un preciso disegno di riscatto di una realtà rimossa o mortificata. Ne emerge la conferma di una capacità di reazione e durata da parte della cultura indigena, anche attraverso l'assimilazione creativa della cultura dei conquistatori. E' una ragione in più per avvicinarci con attenzione e rispetto a questi scritti - curati da Antonio Melis -, che affermano con forza l'irriducibile alterità del mondo aldino.
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