Miramare
Sospeso fra realtà e metafora, fra incantamento e stagione esistenziale, questo romanzo di Nico Orengo, apparso alcuni anni fa, sembra quasi un manifesto di poetica, un piccolo zibaldone narrativo al quale la scrittura di Orengo è restata fedele nei tratti, nelle linee e nell'atmosfera dei libri posteriori. Vi si respira un sottile gioco comico sempre confinante con la melancolia, una stupefazione di occhi infantili che scrutano il mondo, la magia di un paesaggio così nitido da sembrare iperrealistico e così sfumato da sembrare un sogno. Marine, fiori, piante, pesci: c'è la grazia della pittura. Il muro d'orto è l'isola di un moderno Robinson, giovane scanzonato e infelice, che scrive lettere impossibili, che sogna amori impossibili, che vive una vita tutta mentale in una serra di fiori esotici delimitata da ligustri e acanti. E ci sono figure femminili, sirenette domestiche dal nome semplice e dimenticabile, che col canto della loro gioventù ammaliano il protagonista in fantasticherie, in avventure anch'esse impossibili, trepide e generose come l'adolescenza. Come un'estate mitica, come un sogno a occhi aperti, come un miraggio sulla spiaggia, questo romanzo ci parla di una stagione sentimentale, è una cartolina colorata della nostra gioventù. I colori stanno sfumando, le figurine che un obiettivo lontano fissò sulla lastra stanno uscendo dall'inquadratura: ma la cartolina, testarda, continua a parlare di un'epoca che forse fu reale - e così facendo afferma la verità della letteratura.(Antonio Tabucchi)
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