Il ritorno del padre e altri racconti

Il ritorno del padre e altri racconti

Con Svevo, Saba, Giotti, Michelstaedter, Slataper e altri ancora, Giani Stuparich fa parte di quella costellazione di scrittori triestini che è stata sempre pensata come una famiglia di consanguinei "segretamente intonati fra loro", secondo l'osservazione di Pancrazi. Attraverso le loro opere, si è venuta delineando una sorta di vena triestina nella letteratura italiana del Novecento, che resta uno dei suoi patrimoni più preziosi e più vivi. Di quella stagione, Stuparich è un protagonista importante, anche se appartato per vocazione e temperamento (fin dagli anni '30, Montale gli aveva dato la palma del più discreto tra i letterati italiani). Comincia a scrivere racconti nel 1929, "per l'ingiustizia degli uomini e per la noia del mondo", intrecciando autobiografia e invenzione in modo inconfondibile. Vi si possono ritrovare il tono e i colori del primo Novecento e una particolare temperie morale: tumulto interiore e capacità di sacrificio, generosità verso gli altri e scontentezza di sé, segreto sconforto e tensioni utopistiche. Il nucleo dei racconti che presentiamo in questo volume accanto ai due già apparsi nella stessa collana ('Guerra del '15' e 'Un anno di scuola') è proprio "Il ritorno del padre" di cui parla il titolo. Un doppio ritorno: del padre al figlio, e del figlio al padre. Un doppio viaggio: nel primo il padre ancora giovane conduce il figlio decenne a vedere la Dalmazia, la terra in cui è nato; nel secondo, il padre ormai vecchio e malato, e il figlio nel pieno della maturità tornano in quegli stessi luoghi per un congedo che è anche un estremo tentativo di dialogo, un drammatico passaggio di consegne. Il figlio ha sempre dovuto inseguire questo padre vagabondo, fuggitivo, "leggero", ha cercato di catturarne la presenza con una sottile strategia fatta di sottomissione, debolezza, infermità.
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