Lettere a Clizia
Un giorno d'estate del 1933, a Firenze, un'intraprendente giovane americana bussa alle porte del Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux per conoscere il poeta degli Ossi di seppia, che dirige l'antica istituzione. La ragazza, alta, snella ed elegante, è Irma Brandeis (1905-1990), ebrea newyorkese, italianista, francesista e anglista, traduttrice e scrittrice in proprio. È un classico coup de foudre, destinato a segnare nel profondo la vita dei due protagonisti e tutta la successiva poesia montaliana. Del loro straordinario carteggio, durato sette anni, sono sopravvissute soltanto le oltre 150 lettere di lui, che Irma volle donare al Vieusseux e che furono pubblicate per la prima volta nel 2006. Così ne parla Rosanna Bettarini: «Missive dal tratto forte, delicato e feroce, che giorno dopo giorno costituiscono di fatto un racconto amaro e dolce, d'amore e di rancore, un documento frammentario di fede e di disperazione, di gossip velenoso, di malizie e di pietà; un testo autobiografico e privato sì, ma spesso così letterariamente pepato, stuzzicante proprio là dove non dice e non racconta, così ellittico, evasivo e cifrato da sollevare il lettore da ogni senso di colpa nel porre la lente sui dettagli degli amori altrui. Così il poeta schivo, eccitato da un incontro che ha i segni del destino, visitato da una vera Musa in forma di donna ornata di frangetta e di orecchini, qualche tempo dopo chiamata Clizia, tortuosamente comincia a limare dentro di sé parole e metriche nuove per il mutato stile del libro delle Occasioni».