Aspettando di essere arrestati la notte
Sottoposti a un'ossessiva sorveglianza con sofisticati strumenti digitali, privati dei più elementari diritti civili, arrestati in massa senza alcun motivo, rinchiusi a lungo in campi di rieducazione: da tempo la minoranza musulmana degli uiguri è oggetto di una brutale persecuzione da parte del governo cinese. Regista di successo, poeta innovativo e intellettuale di spicco, Tahir conosce bene la violenza dello Stato, avendo trascorso, fra il 1996 e il 1998, quasi tre anni in un campo di lavoro dove era stato indotto a confessare reati mai commessi. Ma dal 2017 la repressione ha assunto una nuova, terrificante intensità: il governo ha iniziato a mettere a tacere le voci critiche al regime, a confiscare i passaporti, a prelevare campioni di sangue e dati biometrici degli uiguri, e a internare nei campi di rieducazione quanti ritenuti «non affidabili». Mentre notte dopo notte, uno dopo l'altro, i suoi amici e conoscenti scomparivano nel nulla, a Izgil è diventato sempre più chiaro che nessuno sarebbe stato al sicuro. Si scoprì a pensare a un vecchio proverbio uiguro: non c'è muro che possa fermare il vento. Sarebbe bastata la delazione di un vicino di casa, una telefonata a un amico espatriato, la lettura di un libro messo al bando dal regime, perché da un momento all'altro la polizia arrivasse nel cuore della notte ad arrestarlo. Nel mezzo, la paura, e l'attesa. Un'attesa logorante.