Le disavventure di Pat Hobby
Pat ha quarantanove anni e non se la passa per niente bene: ha gli occhi perennemente arrossati e un sentore di whisky nell’alito, la sua auto non è proprio sua, ed è così squattrinato che le sue ex mogli non hanno nemmeno provato a chiedergli gli alimenti. Non apre un libro da un pezzo e legge solo i giornali che si occupano di corse. Sebbene a prima vista sembri una comparsa cinematografica in sfacelo, Pat è in realtà uno sceneggiatore di Hollywood che ha conosciuto i suoi momenti migliori durante l’era del cinema muto. Ormai, però, con l’avvento del sonoro, le cose sono irrimediabilmente cambiate e lui si è ridotto a girare famelico per gli studios a caccia di un impiego o di qualsiasi mezzuccio che gli permetta di raccattare qualche dollaro. Ma i tempi sono grami e questi racconti (scritti tra il 1939 e il 1940, quando Francis Scott Fitzgerald, guarda caso, lavorava per gli Universal Studios) si concludono inesorabilmente male. Fin dalle prime righe sappiamo che Pat è condannato, che nessuna delle sue macchinazioni può avere successo: eppure ci affascina guardarlo dimenarsi e quasi quasi arriviamo ad ammirare la sua infinita speranza.