Storia immaginaria della mia famiglia
Ogni storia famigliare è in qualche misura immaginaria perché la memoria – i romanzieri lo sanno bene – è capricciosa, inaffidabile: ama le variazioni sul tema. Nel caso di questo romanzo, a dare forma all’universo narrativo è lo sguardo del più piccolo dei componenti di una famiglia vitale e caotica, che osserva con sagacia e curiosità le vite spesso incomprensibili degli adulti, le dinamiche misteriose dei loro rapporti, si accende per i loro entusiasmi e intercetta le inquietudini sotterranee. A torreggiare su di lui ci sono anzitutto i nonni: quello materno, “una sorta di vecchio principe con la grazia di Charlot”, convinto antifascista negli anni della guerra, che mal sopporta di gestire il negozio di ottica in cui si sente confinato e, fervente democristiano, sogna di dedicarsi alla politica. E il nonno paterno, burbero, anaffettivo si direbbe oggi, ex fascista ed ex poeta futurista con “gli occhi di brace della stizza sprezzante che riservava al mondo che non lo aveva considerato abbastanza”. Contrapposti nello schieramento ideologico – in anni in cui la politica era tutto –, eppure partecipi di un identico destino, questi nonni: la disillusione di un dopoguerra che ha tradito le promesse della loro gioventù. Non bastano le soddisfazioni economiche, il clima straordinario dell’Italia degli anni Sessanta, al culmine della fiducia in se stessa e dello slancio costruttivo, anche se già percorsa dai conflitti che deflagreranno nel decennio successivo. Andrea Vianello, che con Ogni parola che sapevo aveva conquistato tanti lettori, dimostra qui di possedere lo sguardo del romanziere e un senso sicuro della scena.