Il suono perduto della Siberia

Il suono perduto della Siberia

L'incredibile viaggio della giornalista inglese Sophy Roberts alla ricerca dei pianoforti perduti della Siberia. Un viaggio che ripercorre duecento anni di storia russa, nel quale si intrecciano racconti, miti, vicende tragiche e imprese straordinarie, e dove personaggi dai tratti quasi fiabeschi incrociano le loro vite con quelle di letterati e musicisti, esploratori e rivoluzionari, detenuti e avventurieri.Una sera d'estate del 2015, in una gher mongola non lontano da Karakorum, la capitale dell'antico impero di Gengis Khan, una giovane pianista dal talento straordinario esegue brani di Chopin e Beethoven. Quel pianoforte moderno, però, non sembra essere all'altezza né della musica né della sua interprete. Forse, suggerisce qualcuno, si dovrebbe provare con uno strumento antico, uno di quelli in cui è ancora possibile cogliere la forza, l'emozione, il respiro delle grandi composizioni del XIX secolo. Uno di quegli innumerevoli pianoforti che le vicissitudini degli uomini e della Storia hanno disperso nell'immenso territorio che si estende per migliaia di chilometri a est degli Urali. Inizia così, da un altopiano ventoso della Mongolia, l'incredibile viaggio della giornalista inglese Sophy Roberts alla ricerca dei pianoforti perduti della Siberia. Un viaggio che ripercorre duecento anni di storia russa, nel quale si intrecciano racconti, miti, vicende tragiche e imprese straordinarie, e dove personaggi dai tratti quasi fiabeschi incrociano le loro vite con quelle di letterati e musicisti, esploratori e rivoluzionari, detenuti e avventurieri. Dall'epoca di Caterina la Grande alla rivoluzione d'Ottobre, dal Terrore staliniano al crollo dell'Unione Sovietica, i pianoforti seguirono le strade che i sogni e le ossessioni degli uomini tracciarono per loro, diffondendosi in tutti i territori a oriente del fiume Ob'. Nascosti a Novosibirsk per sfuggire al furore nazista o suonati nel gelo dei gulag della Kolyma, diventarono legna da ardere durante l'assedio di Leningrado, marcirono abbandonati sull'isola di Sachalin e nell'era sovietica celebrarono i fasti di una diffusa e orgogliosa educazione musicale, riecheggiando ovunque le voci di quanti, con maestria o noncuranza, avevano fatto scorrere le dita sulle loro tastiere, li avevano comprati, venduti, rubati, ritrovati, protetti come un bene prezioso perché testimoni della necessità dello spirito umano di trovare nella musica la forza e il ristoro necessari per affrontare ogni tipo di calamità e sciagura.
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