1849. I guerrieri della libertà
Valerio Evangelisti, autore dell'iconica saga di "Eymerich", riscopre una pagina essenziale e colpevolmente dimenticata della nostra Storia in un romanzo lontano sia dall'apologetica che da un'inutile demistificazione, il racconto di giorni di sangue e speranze. «A Roma è nelle osterie che si costruisce il futuro. E il vino, che ci scorre nelle vene al posto del sangue, ci fa sognare l'eguaglianza e la libertà, che poi sono la stessa cosa.» Pochi lo sanno ma nell'autunno del 1848 giovani in ogni parte d'Italia lasciarono lavoro e famiglie e si misero in marcia, destinazione Roma. Andavano a difendere l'insurrezione popolare che da lì a pochi mesi avrebbe visto nascere la Repubblica Romana, crocevia di idee democratiche e diritti civili quasi impensabili per la società del tempo. La quotidianità di quella manciata di mesi fu però molto lontana dalla retorica con cui certa Storiografia oggi li restituisce. Le strade in cui si batterono Mazzini, Garibaldi e Mameli erano ingombre di spazzatura e povertà, e con l'arrivo dei volontari si gonfiarono di grandi afflati e ancor più gratuiti assassini. A cavalcare la rivolta ci furono in pari misura eroi e banditi, visionari e faccendieri, gente di pistola, di mano e di coltello ma anche tante persone semplici, sprovveduti idealisti che rischiarono la vita inconsapevoli del ruolo che stavano avendo nella Storia. Proprio come Folco, immaginario panettiere che arriva a Roma alla vigilia dei tumulti e diventa testimone di ogni più turpe nefandezza l'uomo sia capace ma anche di ogni suo più elevato slancio. E così, mentre fuori dalla città tuonano i cannoni della restaurazione, e il passato cerca di soffocare il presente per disinnescare il futuro, Folco si rende conto che, pur non capendo fino in fondo quel che succede intorno a lui, respira un'aria nuova, la sensazione, mai provata, di fare parte di qualcosa di pulito…
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