Il peso della neve. Storia della nostra famiglia sotto la valanga di Rigopiano
«Il buio in cui eravamo immersi diventava sempre più nero. Gli ultimi ad arrendersi sono stati due signori la cui voce ci arrivava dalla sinistra del divano. "Aiuto, cazzoooo!" hanno urlato. Ma invano. Una trave ha scricchiolato, un altro mucchio di neve è caduto a terra. "Mamma, perché non vengono a prenderci?" "Non lo so." "Ma ci avevano trovati..." "Non lo so." "Dici che non ci hanno sentito?" "Ma sì che ci hanno sentito. Magari adesso sono un po' stanchi, Gianfi. Chissà quanto avranno scavato... Vedrai che si riposano un attimo, dormono un paio d'ore, poi ci vengono a prendere. Noi tanto stiamo bene, no?" "Veramente io sto morendo di freddo, mamma." "Be', è normale... Siamo in montagna." "Già. E Ludovica?" "Starà certamente bene anche lei, Gianfilippo... Ne sono sicura." "Già... Mamma?" "Sì?" "Ti va di dire un Padre Nostro insieme a me?"» Adriana e Gianfilippo Parete sono mamma e figlio. E stanno per morire insieme alle altre ventinove persone rimaste intrappolate fra le macerie dell'hotel Rigopiano, il 18 gennaio 2017. Al culmine di un breve sciame sismico, una valanga si è staccata dal monte Siella, nel cuore dell'Abruzzo, e ha travolto il piccolo resort di lusso a fondo valle. In un secondo, 120.000 tonnellate di pietre, ghiaccio e neve hanno spazzato via tutto, come fosse un castello di carte. Molti non sono morti sul colpo, ma dopo una lenta agonia. I soccorsi, partiti in ritardo, non sono riusciti a raggiungere tempestivamente il luogo del disastro e così le macerie dell'hotel Rigopiano si sono trasformate in una gigantesca trappola per topi. Questo libro è la storia in presa diretta di cosa è successo dentro quella trappola nelle drammatiche cinquanta ore che seguirono la valanga. A raccontarla è la famiglia Parete - mamma, papà e due figli - i quattro protagonisti di quello che i giornali hanno chiamato il «miracolo di Rigopiano». Ma ogni cosa ha un prezzo, anche i miracoli. «Da tutto questo» ricorda oggi Giampiero, il papà, «ho imparato quanto è difficile svegliarsi ogni mattina oppressi dall'obbligo di ringraziare Dio, spaventati dalla prospettiva di incrociare lo sguardo di qualcuno che magari là sotto ci ha lasciato la madre o un figlio, oppure angosciati dall'unica vera domanda che continuo a farmi ogni volta che ripenso a quella montagna: perché noi?».
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