C'è un angelo bianconero. Il mio maestro si chiama Scirea
Se giochi più di trecento partite con una maglia sola, è facile che diventi una bandiera di quella squadra, la Juventus. Ma se sei un difensore e non ti fai mai espellere nemmeno una volta e ne giochi altre settantotto con la Nazionale, e non offendi mai nessuno in tutta la tua carriera, forse lo diventi per tutti. Gaetano Scirea era davvero un angelo caduto nel mondo del pallone, come lo descrisse Enzo Bearzot, un angelo morto troppo presto, a soli trentasei anni, in un incidente d'auto in Polonia. Alessandro Del Piero disse una volta: "Il mio sogno sarebbe stato quello di essere visto dai bambini come io vedevo lui allora". E proprio come in uno specchio, Giorgio Chiellini, la bandiera della Juve di oggi, è andato a cercarlo, nella memoria e nelle immagini, nelle sue gesta e nei suoi silenzi, per raccontare, in fondo, una lezione di vita e di sport. Chiellini è un difensore all'inglese, che ha fatto dell'ardore e della forza le sue armi migliori. Non ha la tecnica di Scirea, che era un libero alla Beckenbauer, come si diceva allora. Però, proprio da queste diversità, nasce la bellezza di un incontro fra anime lontane, che hanno finito per fare lo stesso mestiere, con la stessa maglia, quasi amici per la pelle, pur senza conoscersi. E un racconto tenero e delicato che passa anche attraverso tante tragedie, in un'altalena di emozioni come un filo, bianconero, teso lungo gli anni.
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