Dai sempre speranza. I pazienti che hanno cambiato la mia vita
Oriana Fallaci. Era lei la persona che avrei dovuto curare. Non ci fu bisogno di presentazioni. Sapeva chi fossi e, dunque, perché si rendeva necessario incontrarmi. La signora Fallaci non sarebbe stata una paziente facile. I nostri incontri sarebbero stati, più o meno, la copia del primo. Era difficile resisterle. Io arrivavo. Lei cominciava a parlare, anche a chiedere, dell'Italia, della mia vita. Voleva sempre conoscere il mio punto di vista sui problemi del mondo, su ciò che stava accadendo.» Quello con Oriana Fallaci è soltanto uno, anche se il più celebre, dei tanti incontri che hanno cambiato il modo di pensare di Virgilio Sacchini, chirurgo del reparto di senologia al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, il centro «anticancro» più importante al mondo. Nessun paziente passa senza lasciare traccia, ma di qualcuno rimane un ricordo particolare, profondo, che non si dimentica. Per i motivi più diversi: una storia personale, o professionale, curiosa e interessante; una diagnosi ancora poco conosciuta; un problema sociale, religioso o razziale irrisolto. Sono casi che costringono a riflettere, a interrogarsi: come quello di James, piccolo boss di Harlem che, orgoglioso della sua amicizia col «doctor», lo presenta al quartiere come fosse una star. Di Shena, musulmana originaria del Bangladesh che, dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelle, non vuole farsi operare al Memorial perché teme discriminazioni. Di Saturna Englaro, che di fronte alla malattia si proccupa più per la figlia che per sé. Di Anne, che trova la forza per affrontare le cure solo tra le magnifiche piante del giardino botanico di New York. Al centro di tutte le storie, il male del secolo che la scienza sta cercando di sconfiggere. Mentre proprio negli Stati Uniti è in corso un dibattito molto acceso in seguito alla riforma sanitaria voluta da Barack Obama, Sacchini ci accompagna in questa straordinaria avventura umana e professionale che si rinnova ogni giorno, non appena un paziente si presenta nel suo studio e fa esperienza di quanto sia fragile l'equilibrio tra la vita e la morte, la salute e la malattia. Di fronte al crogiuolo di etnie, religioni e linguaggi delle corsie del suo reparto - singolare ma anche entusiasmante compendio del tradizionale melting pot della società americana - Sacchini ha due compiti da assolvere: come medico, quello di affidarsi alla scienza e di «dare sempre speranza»; come uomo, quello di riconoscere nelle espressioni di sconforto o di gioia dei suoi tanti pazienti, nei loro occhi o nei loro gesti, il tratto distintivo che rende ciascuno un caso unico nella malattia e nella lotta per la guarigione.
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