Come vendere un milione di copie e vivere felici
"Per diventare scrittori dovete imparare a rubare": è questo uno degli insegnamenti fondamentali che il professor Federico Sicoli impartisce ai suoi allievi della Scuola superiore di scrittura "C. Pavese". Perché se ne convincano, durante le lezioni fa addirittura indossare loro delle mascherine nere, come quelle della Banda Bassotti. Vittorio Campari di quel principio fa subito tesoro. Non a caso è l'allievo prediletto. Forse è proprio lui quello destinato a diventare l'autore del bestseller da un milione di copie, come promette il titolo del corso e come non è ancora mai avvenuto. Vittorio però è impacciato ed esitante, sempre pronto a esaltarsi per ogni nuova idea per poi buttarsi giù alla prima contrarietà. In realtà un allievo c'era, che possedeva tutte le qualità necessarie per diventare autore di bestseller: lo scaltro e spregiudicato Kashmir Paolazzi. Ma era talmente privo di scrupoli che aveva tentato di trafugare dal cassetto della scrivania di Sicoli il manoscritto del suo romanzo inedito ed era stato espulso dalla scuola. Allora, a forza di falsi scoop e vere cialtronate, da ottimo allievo si era trasformato in giornalista di successo, presenza fissa e acclamata in salotti e talk-show, prima firma del "quotidiano più autorevole e diffuso del Paese", nonché prima causa dei travasi di bile di Vittorio Campari. Il quale, però, nel frattempo ne ha fatta di strada. Dopo un'infelice serata nel salotto di Selvaggia Venanzi, regina della mondanità romana, quando la sua carriera letteraria gli era sembrata finita ancora prima di cominciare, scrive una telenovela che piace nientemeno che aI papa Christian l, con l'acclamata attrice Costanza Lesbii nella parte della protagonista. Potrebbe ritenersi soddisfatto. Anche perché intanto con Costanza Lesbii ci si è pure fidanzato. I guai però (ri)cominciano quando si mette a scrivere un romanzo-verità su Cosa Nostra dove rivela alcuni segreti di famiglia del boss Ninì Ussorio... In una esilarante cornice romanzesca Antonio D'Orrico cala il suo gioco di rimandi e citazioni, di richiami e allusioni, riciclando, in una spericolata operazione di ecologia letteraria, alcuni dei racconti più belli e dimenticati della letteratura italiana del primo Novecento (D'Annunzio, Tozzi, Verga, Pirandello). Restaurandoli con il massimo rispetto e il massimo dispetto, ammodernandoli, onorandoli e disonorandoli, sottoponendoli a lifting e liposuzioni, Antonio D'Orrico ha scritto un romanzo che è un intervento di chirurgia estetica nel senso medico, cosmetico ma anche filosofico della parola. Con un esito che oscilla tra il noir e la commedia brillante alla Frank Capra. Anche se la scelta definitiva, forse per calcolo deliberato, forse per inconscia affinità, sembra propendere per la seconda soluzione.
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