La pelle dell'orso. Noi e gli altri animali
A inizio estate 2006 l'orso Jji, che appena compiuti i due anni segue il naturale richiamo all'esplorazione, si trova in terra ostile. Dal Parco dell'Adamello-Brenta in Trentino, dov'è nato in virtù di un programma di ripopolamento di plantigradi finanziato dalla UE, ha camminato fino alla Germania. Qui, secondo i tedeschi, ha danneggiato arnie e qualche pollaio, meritando la condanna a morte. La gente si commuove, l'Italia protesta molto fiaccamente, ottenendo solo una proroga per vaghi tentativi di cattura dolce, da cui viene peraltro esclusa. Il 26 giugno il giovane Jji, che ha compreso di essere nei guai e cerca la via di fuga seguendo i corsi d'acqua per disperdere le proprie tracce, viene abbattuto a fucilate da cacciatori ignoti in Baviera, sulle sponde di un lago. L'Italia allora ne richiede le spoglie, negate dalla Germania che ha piacere di impagliarlo. Un mese dopo, in Trentino, sarà catturata e imprigionata sua madre Jurka, riconosciuta colpevole di dispensare cattiva educazione ai cuccioli: per tutto l'autunno 2007 l'orsa è reclusa nell'angusto recinto di un monastero. D'altro canto, qualora gli animali ci piacciano vivi, in questo nostro Occidente progredito non siamo disposti a sopportarne l'indole né la libertà. Così li segreghiamo in canili, li guardiamo spegnersi fra le sbarre degli zoo - imprese con ampio margine di lucro e imbroglio da parte delle amministrazioni - poiché chi subisce non ha facoltà di replica. Nondimeno, visto che così spesso a dilettarci è il loro sapore, fondiamo un enorme mercato, protetto dal silenzio mediatico, sulla loro morte. Secondo noi, uomini civili, gli altri animali sono esistenze al nostro servizio: ci sentiamo autorizzati a farne qualsiasi cosa. Immuni da ripercussioni. Ne siamo proprio sicuri?
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