Una bambina contro Stalin. L'italiana che lottò per la verità su suo padre
Mosca, 1937. Un regista, autore di documentari di propaganda socialista, viene prelevato dagli uomini dell'Nkvd, la polizia segreta, negli studi cinematografici in cui lavora e di lui non si sa più nulla. Si tratta di Gino De Marchi, un militante del Partito comunista italiano, che nel 1921 si è trasferito dalla provincia piemontese in Unione Sovietica. Non è il suo primo arresto; già nel 1921, ingiustamente accusato di essere una "spia dell'Italia fascista", era stato incarcerato, ma grazie all'intervento di Antonio Gramsci, suo intimo amico, dopo un anno e mezzo era tornato in libertà. Questa volta l'imputazione è la stessa, l'esito però è completamente diverso. Sottoposto a incalzanti interrogatori, De Marchi continua a negare di aver svolto attività di spionaggio, ma senza subire alcun processo è condannato alla pena capitale. La moglie Vera, all'oscuro di quanto sta accadendo, viene convocata alla Lubjanka e, terrorizzata dalle minacce degli inquirenti, decide di prendere le distanze e in seguito di divorziare. Luciana, la figlia tredicenne, molto legata al padre, compie invece la scelta opposta: lo aspetterà per anni, dedicando l'intera esistenza alla sua ricerca e alla difesa della sua memoria. In un primo tempo, pur così giovane, lotterà con tutte le forze per difenderlo da quella che reputa un'evidente ingiustizia, poi, dopo il 1956, informata della morte di colui che aveva tanto atteso e al quale aveva scritto giorno dopo giorno, si propone di ricostruire una storia interrotta all'improvviso, ridandole un senso. Luciana scopre la tragica verità sulla sorte del padre solo nel 1996: Gino De Marchi non era 'morto' di peritonite in un gulag, come sosteneva la versione ufficiale, era invece stato fucilato a Butovo, nei pressi di Mosca, il 3 giugno 1938 e a denunciarlo erano stati anche alcuni comunisti italiani. Gabriele Nissim, che ha incontrato Luciana De Marchi numerose volte a Mosca e a Fossano e ha potuto leggere le lettere e le carte private da lei conservate, ricostruisce con dovizia di particolari una straordinaria vicenda umana che la storiografia ufficiale ha finora ignorato, affrontando una realtà per molti aspetti ancora poco conosciuta, quella dei comunisti italiani in Unione Sovietica durante il regime staliniano; uomini e donne di cui non va perso il ricordo perché "l'esercizio della memoria è un'arte molto raffinata. Chi riesce a farne un uso prezioso può cambiare la percezione della storia".