Otto milioni di biciclette. La vita degli italiani nel ventennio
Che i treni fossero in orario quando c'era Lui è noto a tutti. Ma chi erano gli italiani a bordo delle carrozze di prima, seconda e terza classe? In che modo vestivano, cosa mangiavano, con quali svaghi occupavano il loro tempo libero? E com'era l'Italia percorsa da questi puntualissimi convogli? Romano Bracalini ci accompagna attraverso la società del Ventennio fascista, supportato dall'attenta lettura di documenti, testimonianze e soprattutto di giornali dell'epoca. Il suo racconto prende le mosse da come il fascismo mutò faccia al paese con un ambizioso programma di ristrutturazione: la bonifica delle paludi pontine, la costruzione di strade, autostrade, stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, scuole, ospedali, acquedotti. Le città furono ampliate e nuovi centri urbani arricchirono la geografia. A Firenze vennero abbattuti interi rioni popolari definiti dal Duce un "pittoresco sudicio da affidarsi a Sua Maestà il piccone", come il quartiere di Santa Croce, e Milano vide sparire la fossa interna del Naviglio. La velleità del regime di 'fare ordine' e rendere l'Italia più efficiente ebbe ripercussioni anche sulla vita sociale, che ne fu condizionata in tutti gli aspetti, dalla dimensione lavorativa a quella scolastica e famigliare, dalla sfera sessuale, politico-culturale a quella dei divertimenti. Così fiorivano le associazioni, si moltiplicavano le attività dei dopolavoro, si epurava la lingua dalle parole straniere, si premiavano le donne più prolifiche, madri dei 'soldati di domani', mentre chi non procreava veniva ritenuto un traditore della patria e sul lavoro non faceva carriera, al pari dei celibi impenitenti, puniti con la "tassa sul celibato". I piccoli crescevano all'interno dell'Opera nazionale Balilla, che li vedeva inquadrati militarmente fin dalla più tenera età. E i ritmi del vivere quotidiano erano scanditi da celebrazioni, cerimonie, anniversari che esaltavano i fasti dell'Italia autarchica e 'imperiale'. Ma sollevando il velo mistificatorio della retorica e della propaganda, si scopriva un paese ancora arretrato e in grande difficoltà. I più dovevano fare i conti con la fame, 'vacanze' era una parola esotica e pochi potevano permettersi la Topolino, benché Mussolini l'avesse battezzata "la vetturetta del lavoro e del risparmio". Eppure nell'aria già si respiravano le prime avvisaglie della modernità: i primi treni elettrici, i primi elettrodomestici nelle case, le magie del cinematografo e della radio. "Otto milioni di biciclette" ci restituisce i profumi e i sapori di un'Italia diversa, lontana, ma che ci riguarda in qualche modo da vicino, perché è dalle sue macerie che è sorto il paese che tutti conosciamo.
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