Scelba. Il ministro che si oppose al fascismo e al comunismo in nome della libertà
Quello di Mario Scelba è un nome che, a oltre quindici anni dalla morte, suscita ancora giudizi contrastanti - dal consenso convinto al biasimo e alla censura -, ma quasi tutti fondati sul 'sentito dire', perlopiù su definizioni malevole coniate dai suoi avversari, come quella di "ministro di polizia". Al di là di questi stereotipi, però, su Scelba, come su molti altri artefici della democrazia italiana e dell'integrazione europea, da tempo è caduto l'oblio. Gabriella Fanello Marcucci si propone di colmare questa lacuna e lo fa ricostruendo, sulla base di fonti edite e inedite, oltre che di numerose testimonianze raccolte dagli scritti o dalla viva voce del protagonista (che ha conosciuto e ascoltato), le diverse fasi della lunga e operosa vita di Scelba: studente cattolico a Caltagirone, giovane giornalista 'popolare', avvocato oppositore del regime, democratico cristiano della clandestinità, ministro dell'Interno per sei anni consecutivi, presidente del Consiglio e, due volte, del Parlamento europeo, che a lui deve tanta parte del suo odierno assetto istituzionale. Ne emerge il ritratto di un uomo che rimase fedele, anche negli anni più bui, alla propria parte politica (il Partito popolare di Sturzo, suo mentore e maestro, e poi la Democrazia cristiana) e la cui attività fu sempre ispirata da un'inappellabile condanna sia del fascismo sia del comunismo, improntata com'era al culto e alla difesa dei valori imprescindibili della democrazia e della libertà. Antifascista fin dagli anni Venti, come ministro dell'Interno Scelba fu il promotore della legge contro la ricostituzione del disciolto Partito fascista. Eppure, nel 1961, respinse la proposta di mettere fuori legge il Movimento sociale italiano, sostenendo che il giudizio sulla sua identità ideologica e politica poteva essere formulato solo da un organo al di sopra delle parti, come la magistratura. Anticomunista intransigente, quale si dichiarava nei suoi discorsi in Parlamento, rifiutò comunque l'ipotesi di 'leggi speciali' anche quando erano in molti ad auspicarle per arginare le violenze private, ammantate di una veste politica, che nell'immediato dopoguerra insanguinarono soprattutto (ma non solo) il cosiddetto 'triangolo rosso' emiliano. Perciò egli fu inviso, in egual misura, sia ai nostalgici del 'tempo migliore' del fascismo sia ai profeti del 'mondo migliore' del comunismo. Sorge allora il legittimo dubbio, come afferma l'autrice, che questa duplice e opposta avversione fosse dovuta al suo essere uno dei più convinti e inflessibili custodi della libertà e, dunque, un autentico democratico.
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