Ronnie, mio padre

Ronnie, mio padre

Ronnie Cornwell era in assoluto il più sfrontato truffatore che si potesse incontrare nella Gran Bretagna del dopoguerra. Elegante e disinvolto, brillante e temerario, nessuno più di lui sembrava attendibile e degno di fiducia. In realtà, a causa dei ripetuti fallimenti e degli enormi debiti, finì più volte in prigione. Eppure, fino all'ultimo giorno della sua vita, rimase sotto ogni aspetto un uomo assolutamente rispettabile. E qui stava il suo genio. Il rispetto era ciò che gli premeva più di qualsiasi altra cosa. Persino più del denaro. Così, almeno, in questo straordinario racconto autobiografico lo ricorda il figlio John Le Carré (David Cornwell, nella vita reale). Ma qual è la verità? E in che modo su di essa incide il suo suggello la memoria? Domande importanti, ineludibili, che il grande scrittore non esita a porsi nel momento in cui decide di investigare sul mistero del genitore dal quale è stato in fuga per tutta la vita. La madre Olive, che lo aveva abbandonato quando John e il fratello maggiore Tony erano ancora bambini, sfinita dai tradimenti e dalle percosse, era la prima a riconoscere in Ronnie i segni del genio. John ne ricorda invece l'aroma di sigari di marca e di lozione per capelli, e gli abiti di sartoria in cui se affondava il naso sentiva immancabilmente profumo di donna. Ma come un'infinità di uomini dediti all'inganno, Ronnie era anzitutto un ingenuo, sempre pronto a cadere nella trappola di qualcuno più furbo di lui. O forse, più semplicemente, uno che imbrogliando soprattutto se stesso amava costruirsi una realtà in cui finiva per credere. Sincero e disincantato, "Ronnie, mio padre" è un gioiello di ricostruzione psicologica, un sofferto e delicatissimo omaggio a una figura paterna che ai propri umani limiti trova riscatto in un'esistenza che ha le movenze del romanzo.
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