Marina Cvetaeva. I giorni e le opere

Marina Cvetaeva. I giorni e le opere

"Il colpo di stato bolscevico, la guerra civile, il marito che raggiunge il Don per unirsi all'esercito dei Volontari Bianchi, la miseria, le stanze di cui non si chiudono mai le porte perché non c'è più nulla da rubare, il gelo, i mobili fatti a pezzi e gettati nella stufa, la morte per fame e stenti della piccola Irina, l'emigrazione (in Cecoslovacchia, poi in Francia), l'incomprensione - dopo l'iniziale successo - del pubblico 'émigré', ancora miseria, gli abiti di seconda mano, le scarpe sfondate, i capelli tagliati con le forbici da cucina, le verdure raccolte tra gli avanzi dei mercati, i 'no' delle riviste e delle case editrici, l'attiva militanza del marito Sergej Efron nella polizia segreta sovietica, lo scandalo politico, il ritorno del marito e della figlia nell'URSS... e dopo due anni il suo stesso ritorno, insieme con il figlio Mur, nella Russia sovietica, l'arresto di Sereza e Alja, la penosa ignoranza della loro sorte, la vita da paria, la guerra, l'evacuazione in una sperduta cittadina tatara, l'impossibilità di trovare lavoro, lo sguardo che per mesi cerca un gancio cui appendere la corda, e poi la testa nel cappio, la 'morte verticale'..." Questa la lucidissima ed emozionante sintesi, tracciata da Serena Vitale nello scritto che apre il volume, degli elementi che compongono il 'mito' di Marina Ivanovna Cvetaeva, la cui biografia è segnata dalla fatale conflittualità tra una vocazione poetica precocissima - sentita fin da bambina come dono e 'marchio' divino - e la condanna al silenzio imposta dalla violenza della Storia e dalle condizioni materiali sempre durissime della sua vita di esule e 'rejétée'. "Ho avuto in sorte una bella voce / Ma con mano pesante, mentre correvo / il Destino mi ha agguantato per i capelli!" scrive Marina: eppure la sua opera - strappata, giorno dopo giorno, all'arduo esercizio della sopravvivenza - ha toccato i vertici della poesia e della prosa novecentesca. La rievocazione dell'infanzia come età del sogno ma anche della coscienza della solitudine, l'angoscia della guerra e della violenza, l'ipocrisia dell'ideologia che diventa fanatismo, ma anche la forza della passione amorosa e l'esperienza di un eros disinibito e scandaloso sono alcuni dei temi verso i quali questa donna - che la Schweitzer definisce "uno dei poeti russi più fanaticamente devoti alla poesia" - ha rivolto il suo sguardo penetrante per raccontarli con voce inconfondibile. Viktoria Schweitzer racconta di essersi imbattuta nel nome della poetessa russa quasi per caso, tra le pagine di un libricino rilegato a mano dove qualcuno aveva copiato alcune sue liriche; da quei fogli sbiaditi si sprigionava potentemente la voce di Marina Cvetaeva, e chiedeva di essere liberata da un lungo silenzio. A questo compito la Schweitzer si è dedicata con determinazione instancabile; cercando tutto quanto era stato pubblicato in vita dalla Cvetaeva, rintracciando le persone che l'avevano conosciuta in Russia, setacciando gli archivi privati e quelli statali - quasi blindati prima del crollo dell'uRss -, superando le resistenze della Russia sovietica nei confronti di una figura tanto invisa da dover essere cancellata dalla memoria collettiva: "Mi hanno spazzata via", aveva commentato la Cvetaeva negli ultimi anni della sua vita. Con una narrazione coinvolgente e al tempo stesso ben documentata la Schweitzer - perseguitata lei stessa perché dissidente ed ebrea - ci conduce attraverso le molte peregrinazioni della Cvetaeva, ripercorrendo la sofferta unione con Efron, il suo amore quasi ossessivo per i figli Ariadna, Irina e Mur, la relazione con la poetessa Sofija Parnok, e ricostruendo i sodalizi fondamentali con Osip Mandel'stam e Boris Pasternak. Dalle sue pagine riemerge così lo sfondo storico, politico, materiale e sentimentale da cui è scaturita la poesia di un'artista che, con le parole di Pasternak, si è sempre sentita "ostaggio dell'eterno nel carcere del tempo".
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