Carlo Borromeo. I destini di una famiglia nelle lettere del grande santo lombardo
Carlo Borromeo fu uno dei personaggi più contraddittori del suo tempo: il popolo dei devoti ne fece un santo, la schiera degli avversari lo definì fondatore di una teocrazia dispotica. Nel 1885, a Milano circolava un libello che lo descriveva come un Torquemada dirozzato, un fanatico che volle trasformare la città in un convento, un persecutore che non risparmiò "tenaglie, ruote e corde". Per poter cogliere l'immagine vera di San Carlo si è fatto ricorso non agli elaborati documenti ufficiali, ma a quella fonte genuina che scaturisce limpida dal cuore e dalla mente di un uomo: la corrispondenza privata. Le lettere indirizzate alle sorelle, e in particolare alla sua prediletta Anna, hanno permesso il controllo ravvicinato di eventi e date, la scoperta di notizie non filtrate dal prudente riserbo o manipolate da redattori né mutilate e deviate da silenzi arbitrari e interessi di parte. Questa "fonte diretta" di informazione ha fatto sì che si potessero correggere e aggiustare episodi, sfatare leggende, chiarire lati oscuri. Un contributo importante proviene inoltre dalle "minute", perché frequentemente san Carlo scrive o detta di getto, ma poi ci ripensa, revisiona e dietro le cancellature, le correzioni o le aggiunte, si intravede il suo pensiero più vero, quello che non fu soffocato dalla sua notevole capacità di autocontrollo. Nella sua funzione di governo fu determinato e impassibile tanto da essere chiamato "l'uomo di ferro", "il martello degli eretici"; ma nelle lettere famigliari appare intriso di umanità, si permette abbandoni e tenerezze, si lascia coinvolgere dall'ansia o dal rancore. La corrispondenza ci fa incontrare un Carlo che si dichiara orgoglioso del colore della sua porpora perché rosso sangue, quasi un annuncio di martirio, e un altro Carlo che, confuso e triste, confida le proprie angosce: un uomo sul cui volto non appare mai né un sorriso, né una lacrima, e un altro che, quasi materno, si intenerisce davanti a una nipotina in fasce. L'indagine sull'uomo comune che sonnecchia sotto la ruvida tunica dell'asceta non intacca l'immagine del santo; anzi, fa nascere in noi, oltre allo stupore per la sua grandezza, un'affettuosa simpatia che ce lo fa riconoscere come uno di noi. È di Carlo, non di san Carlo, che questo libro vuole parlare.
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