Lettere di un condannato. Storie esemplari di ingiustizia italiana
"L'attività di giornalista che Lino Jannuzzi continua a svolgere non può favorire il processo rieducativo del condannato... Il condannato non ha maturato fino a oggi alcun ravvedimento... non dà nessuna garanzia di affidabilità ... dimostra una personalità difficilmente assoggettabile... e la persistenza di un atteggiamento mentale giustificativo del proprio comportamento antidoveroso." Così scrivono i magistrati di Napoli nella sentenza che rifiuta di accordare a Jannuzzi il regime di semilibertà o gli arresti domiciliari dopo una condanna a due anni, cinque mesi e dieci giorni di galera per diffamazione. Da anni il giornalista conduce una battaglia civile contro gli abusi della magistratura e per la difesa dei diritti degli imputati. I suoi 'tazebao', come manifesti esposti nella pubblica piazza, sono uno straordinario strumento di informazione e di denuncia politica, un mezzo attraverso il quale migliaia di lettori vengono aggiornati ogni settimana sullo stato dei grandi processi di mafia (dal caso di Enzo Tortora a quelli del senatore Andreotti e dell'ex dirigente del Sisde Bruno Contrada), sull'uso dei pentiti che negli ultimi anni li ha caratterizzati, e in generale sullo scontro in atto fra classe politica e magistratura. In questo libro è raccolta e presentata una scelta dei più recenti scritti del giornalista. Sono le 'prove' irrefutabili della sua recidività: "Persistendo la residua pericolosità del reo e il pericolo di recidiva... non pare opportuno che il condannato possa continuare a svolgere l'attività di giornalista". Il processo rieducativo e la 'risocializzazione', dunque, si possono fare soltanto in carcere. L'imputato, infatti, è caduto nella stessa colpa di prima, persiste, persevera nello stesso peccato e reato, è ostinato, incallito, pervicace, ribelle.
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