Declino e speranza del cattolicesimo
Non occorre un acume straordinario per accorgersi che oggi i cattolici sono minoranza. Vanno salutati da lontano i tempi in cui bastava un rintocco di campana per avere una chiesata strabocchevole di fedeli. I tempi in cui ci si premurava di andare in processione a frotte per le vie della città, mostrando l'orgoglio di portare a spasso il Signore o una statua sacra. I tempi in cui ci si contava tra i credenti durante le elezioni politiche e la Chiesa premeva sui poteri civili con la propria autorità e il proprio prestigio. I tempi in cui sembrava bastasse la conservazione della fede per trasmetterla alle generazioni montanti e ai pochissimi non credenti che rimanevano estranei all'ambito della comunità ecclesiale... Siamo arrivati a qualcosa che assomiglia alla diaspora: a una dispersione, cioè, dove i singoli credenti si sentono spaventevolmente soli e faticano a riconoscersi e a ritrovarsi tra loro... Ci si sente appagati di essere in pochi, di essere degli eletti, di aver liberato la comunità cristiana dai fedeli appena sufficienti nella vita di fede. Non si accettano le mezze misure. E, di solito, quando si fa la conta, ci si mette tra i perfetti. Il motto è: meglio pochi ma buoni. Una simile impostazione teologica - si può dire tale? - e pastorale non impedisce certo al Signore Gesù di salvare chi vuole... La Chiesa, seguendo l'intenzione di Gesù, non ha mai programmato un gruppo di affezionati, magari un poco schizzinosi, come suoi membri. Si è sempre protesa a essere un popolo in cui vivono buoni e meno buoni, il grano e la zizzania, i pesci pregiati e quelli scadenti... Nell'insegnamento di Cristo non c'è posto per una Chiesa di élite: c'è posto per la gente che lavora e fatica e piange - come siamo un poco tutti - tra cui si possono manifestare eroismi autentici, magari non voluti, evitati con cura, eppur compiuti quasi a proprio malgrado e con gioia inaspettata.
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