Non entrare nel campo degli orfani
L'uomo che viene svegliato all'alba da una telefonata inattesa è uno scrittore. Chi chiama è un suo cugino, Fausto, di molti anni più anziano. E' tanto tempo che i due non si vedono, dopo aver trascorso insieme tanti anni fondamentali per la formazione di entrambi in una Calabria favolosa, arsa e profumata sulle coste deserte, ombrosa e severa sulle montagne, madre aspra e tana accogliente ovunque, acerba e rigogliosa come fu la giovinezza di colui che racconta una storia che forse non vorrebbe dire o perlomeno non vorrebbe dire adesso. Perché la telefonata di Fausto, che in Calabria è rimasto ed è invecchiato, ha qualcosa di misterioso; e quando l'uomo anziano, quasi vecchio, esprime il desiderio di rivedere il cugino diventato famoso e di rivederlo proprio lì, in Calabria, il narratore ha un attimo di smarrimento. Non può non essere consapevole di come rivedere alcune persone significhi fare i conti con se stessi, con il passato, con le ambizioni e il fallimento dei sogni. Eppure parte, parte per un percorso profondo e scuro nei luoghi assolati della giovinezza, dal tempo della guerra degli anni Sessanta, mentre tocca a Fausto raccontargli il resto, e un segreto il cui peso non riesce più a sopportare, una tragedia esplosa e sepolta negli anni del terrorismo. E' sorprendente come, utilizzando sullo sfondo una terra viva, un paesaggio mobile, di carne e di ossa, mutevole e acceso come i personaggi che lo popolano, Enzo Siciliano abbia sovvertito un tenace luogo comune della nostra tradizione sociologica e narrativa. Troppo spesso quelle stesse terre, quel certo Sud, hanno simboleggiato l'immobilità, l'espulsione dal corso della storia, il trasognato incanto della vita arcaica e primitiva: quasi che gli eventi che cambiano la storia dovessero accadere sempre altrove, e che altrove la storia dovesse cercare i suoi eroi. Invece "Non entrare nel campo degli orfani" dimostra come anche quella bellezza remota possa essere marchiata e stravolta dall'unghia dei nostri tempi, come anche nel cuore della sua apparente staticità si possano consumare drammi silenziosi e privati, ma anche eclatanti e collettivi. Così, sembra dire questo romanzo, ricco di echi memoriali come di tensione civile, tornare in Calabria può significare non solo fare i conti col passato, con la memoria individuale, con un tormentoso e drammatico rapporto tra un padre e un figlio, ma frugare nelle ceneri ancora calde della storia di questo nostro paese, reincontrare i suoi fantasmi, scontrarsi, ancora una volta, con le sue implacate furie.
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