Il male assoluto. Nel cuore del romanzo dell'Ottocento
Esiste un filo che lega, in questa sorprendente galleria di ritratti, l'avventuroso Robinson e la lunare Jane Austen, l'abissale De Quincey, l'infernale Vautrin e 'l'enfant terrible' Pinocchio, il nevrotico Manzoni e il tetro Verga, gli occhi di Emma Bovary e i cavalli di Leskov, i nagatampo di Salgari e le bambine di Lewis Carroll?Sì, esiste. Non si tratta soltanto di un genere letterario al suo apice o di un secolo di meravigliosi e forsennati cambiamenti: è l'occhio di Pietro Citati. La sua capacità di 'vedere' senza le lenti deformanti delle ideologie né punti di vista costruttivi; la sua passione per le sfide della mente e le superfici dell'esistenza; il suo dono di lasciarsi abitare dalla moltitudine di volti e di voci che si affollano in ogni scrittore, e si riverberano nella loro opera, "riflessi di riflessi, echi di echi".Pietro Citati non riesce a parlare di questi uomini senza darci un giudizio penetrante sui loro libri, ma non può parlare dei loro libri senza evocare la loro presenza, i gesti, le manie, le ingombranti e vitali contraddizioni: lo spirito di fuga di Defoe, che si spinge in mare aperto con il suo personaggio a incontrare il volto oscuro di Dio; il "bel frac e la cravatta alta e gonfia" di Potocki, che non potendo più conversare nei suoi salotti spazzati dalla Rivoluzione si inabissa nei caleidoscopici 'doppi' del "Manoscritto trovato a Saragozza"; gli istinti distruttivi di Goethe, che nelle "Affinità elettive" vuole applicare le leggi naturali al mondo umano e scopre le "forze spaventose che ci assaltano".E poi, le infinite incarnazioni di Balzac, spia, ladro, poliziotto e giudice delle sue creature; l'invincibile riserbo di Hawthorne, dalla fantasia lieve, disse James, "come l'ala che nella sera autunnale sfiora la finestra buia"; la geometrica ed enigmatica intelligenza di Manzoni; il folle riso e le incursioni nelle tenebre di Dickens; l'umor nero e la sconfinata pietà di Dostoevskij.
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