Cattivi capi, cattivi colleghi. Come difendersi dal mobbing e dal nuovo «capitalismo selvaggio»
Può accadere al primo impiego o dopo trent'anni di onorata carriera; può succedere perché si è timidi o perché si è troppo brillanti, perché si è rigorosi o perché si parla con accento diverso. E molto spesso il motivo scatenante è la fusione tra due imprese o qualche superiore problema di bilancio.Il lavoro, allora, diventa un incubo e le vessazioni da parte di capi e colleghi una regola. L'aggressione può iniziare con una serie di allusioni, sguardi, battute, episodi che sembrano casuali e scollegati. Poi l'attacco si fa sempre più chiaro e chi lo subisce non sa bene come comportarsi: resistere pazientemente, ribellarsi, rivolgersi a un terapeuta o a un avvocato.I casi sempre più frequenti di dirigenti, impiegati, operai obbligati a ricoprire posizioni inadeguate o dequalificanti, ma anche di dipendenti cui vengono affidate mansioni di responsabilità con l'intento di metterli a disagio incentivandone le dimissioni, esprimono una tendenza tipica della società postindustriale, una forma di violenza psicologica legata a una nuova fase dell'economia mondiale e all'affermarsi di un liberismo dal volto "inumano" che dimentica di proteggere non solo i più deboli, ma a volte anche i migliori. Il fenomeno ha un nome, mobbing, che ci riporta direttamente alla logica del branco e alla nostra primitiva barbarie: in etologia, infatti, indica l'accerchiamento minaccioso che un gruppo di animali mette in atto nei confronti di un simile per escluderlo dalla comunità. E soprattutto negli ultimi anni il mobbing è letteralmente esploso anche in Italia dove interessa, secondo le stime più recenti, oltre un milione di individui.In Cattivi capi, cattivi colleghi Alessandro e Renato Giglioli - affermato giornalista l'uno, massimo esperto italiano dell'argomento l'altro - raccontano le storie di uomini e donne che hanno vissuto in prima persona l'esperienza della vessazione sul luogo lavoro.
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