Nella terra di mezzo
Con lucidissima grazia e con un velo in più di sottile malinconia, Erba prosegue il suo cammino fra le cose del mondo, osservandone la concretezza dei dettagli ma cogliendone il breve incanto che passa, il senso vivo ed imprevisto che si cela tra le pieghe del reale. Nei suoi versi, infatti, sa rendere lieve e luminosa una materia altrimenti greve ed opaca: forse nessuno come lui, nella nostra poesia, ha queste virtù di forte consistenza trasparente. Erba ama aggirarsi 'negli spazi intermedi', frequentare le terre di mezzo, muoversi ironico e svagato, eppure con una 'fierezza di viandante alpestre', in situazioni e paesaggi marginali. Lungo questi percorsi, oltre a luoghi che vanno da Milano a Jaipur, ci sono svariati personaggi dai contorni a volte sfumanti a volte ben definiti: le ragazze francesi in giubbetto di pelle o "la donna col sari verde". Altre volte sono semplici apparizioni, figure augurali che vanno sull'onda di un presagio; figure che si muovono tra "l'innocenza degli inizi" e "la grande pazienza della fine". Ed è lo stesso poeta a farsi personaggio, ad analizzarsi con la consueta discrezione antiretorica, a definirsi "un pover'uomo / perseguitato dai geni e dagli idioti". Ma pure il passare del tempo, così aggressivo, lo porta sempre più a sentirsi vicino alla vetta, ad osservare il veloce trascorrere delle stagioni, a concludere che per tutta la vita si prepara "la piroga / su cui c'imbarcheremo in autunno". Ecco che il senso della partenza, o della fine del viaggio, si fa più acuto, penetrante, tormentoso. Nella poesia di Erba si insinua allora qualche coloritura cupa, si avvertono non poche lacerazioni esistenziali che si trasformano in possibilità di conoscenza e salvezza. Nella terra di mezzo è la testimonianza di una nuova fase importante della sua poesia, ed offre inoltre la sorpresa di un capitolo finale di singolare pregio, quello delle traduzioni da Villon, che per le forti tinte e per l'asprezza del linguaggio parrebbe ben lontano da [...]
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