Trenta senza lode
"Chi sono i giovani di oggi? Cosa pensano? Saranno tutti stupidi, reazionari, bambocci preoccupati soltanto del vestito e del 'cosa mettere stasera'?". Se lo chiedeva lo scrittore Pier Vittorio Tondelli nel 1986, per poi dimostrare che le cose non stavano così. Una fatica inutile, la sua. Se è vero che si smette di essere giovane a ventinove anni, nel 1999 i ragazzi di cui parlava Tondelli non lo sono più: sono diventati dei trentenni, oppure il giudizio (o il luogo comune) su di loro non è cambiato. Al limite è peggiorato: oltre che stupidi, reazionari, bambocci e superficiali, sono considerati anche mammoni. O almeno così li vede la generazione dei quaranta-cinquantenni, che li giudica in base a parametri ormai invecchiati dei quali chi ha fatto il Sessantotto o il Settantasette non sa (non vuole) liberarsi. Parametri secondo cui chi è stato adolescente negli anni Ottanta, anni vuoti e volgari come vuole il più logoro degli stereotipi, non può che essere, di conseguenza, vuoto e volgare nei Novanta.Una convinzione tanto solida quanto errata che ha finora impedito a chi ha più di quarant'anni di capire non solo i più giovani, ma anche tutto il mondo che gli sta intorno. E che gli si è rivoluzionato sotto il naso. In "Trenta e lode", Tommaso Pellizzari, che di anni ne ha appunto poco più di trenta, prova a spiegarlo, questo mondo, e a spiegare perché le nuove leve della classe dirigente sono state, finora, fraintese.
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