Maggio selvaggio
Perché scrivere un diario? Se una cosa deve restare privata, perché scriverla? Perché il tema di queste pagine, di queste storie, pensieri, appunti, intuizioni che vanno da maggio a maggio, trascende colui che le ha scritte. Non lo trascende nel senso che lo annulla, perché l'autore è anzi minuziosamente, puntigliosamente visibile; vivo con i libri che legge, la musica che ascolta, le persone che incontra che incontra, il cibo che inghiotte, il pensiero che gli viene ispirato dalla realtà che ha danti agli occhi. Il mondo che brulica sotto il suo sguardo è il carcere. Edoardo Albinati insegna presso il carcere romano di Rebibbia. Di questa esperienza che ha tutti i crismi per sembrare estrema, luogo di osservazione ideale per un'asettica entomologia dell'essere umano, Albinati ha finito col trascrivere più la deriva che le tempeste. Le tempeste sono i delitti, la violenza differita e potenziale che incombe su alcuni individui o su interi reparti (come quello degli "infami"), le proteste clamorose e i lamenti soffocati o amplificati; ma la più toccante deriva è il lento spegnersi, il corpo che si trasforma nei denti che cedono e nella vista che cala; la deriva è la burocrazia soffocante, la norma che spegne il "segreto del male" nella "fabbrica della pena", l'odore di cattività che stagna nelle aule, nei corridoi e nei cortili come nelle celle. E' vero che "la violenza è sempre istruttiva", ma nel libro si Albinati emerge soprattutto la forza della vita qualunque, fatta di saggezza popolana, di partite di calcio giocate e commentate, di reticenze e di illuminazioni, di osservazioni storiche e di testi letterari chiosati con insolito, amaro accume da ladri e assassini, da extracomunitari e da italiani. I protagonisti di queste pagine - e l'autore tra loro - si alzano e camminano allo stesso modo in cui ci alziamo noi ogni mattina e mangiamo e respiriamo, senza sapere esattamente il perché, avvolti da una comprensione frantumata e parziale. Così, la riflessione [...]
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