Il serpente
Un uomo maniacalmente geloso della sua amante la uccide, quindi ne divora il cadavere e si autodenuncia: a un livello superficiale, Il serpente di Malerba lo si potrebbe riassumere così. Ma ben altra è la natura profonda, l'assoluta originalità del romanzo. Non soltanto alla lunga confessione dell'uomo si alternano - inquietante controcanto - astratte, folgoranti divagazioni/esortazioni affatto estranee alla "trama" (esortazioni rivolte a chi? E da chi? dall'autore, dal personaggio, da un suo doppio lucidamente ragionatore che scriva in un tempo diverso da quello della narrazione?), ma il lettore non tarda ad apprendere dallo stesso io narrante che egli mente, così che l'intera narrazione annulla in qualche modo se stessa, e, nel progressivo smantellamento di ogni realtà costruita, nello sconvolgente trionfo di una filosofia (o un'etica) del dubbio, dell'incerto, del possibile, in un gioco continuo di realtà e finzioni che si incastrano l'una nell'altra, si intrecciano, si negano, si affermano, il romanzo diviene la negazione di sé, ogni realtà viene rimessa in gioco, nulla appare certo e reale se non l'incerto, e il serpente -per riprendere la metafora suggerita dal titolo -divora inesorabilmente, ininterrottamente, se stesso.