Una comunità degli animi

Una comunità degli animi

Dopo le scaglie luminose e i microeventi, narrati e come salvati nel corpo del testo, in libri quali "L'amore delle parti", "Merisi", "Preghiera del nome", dopo l'apertura poematica compiuta con "L'opera lasciata sola", Cesare Viviani ci presenta un tempo ulteriore della sua poesia alta e vibrante, un esito sicuro in cui la limpidezza della pronuncia riesce perfettamente ad assorbire l'estensione drammatica di una meditazione sull''eroica' precarietà del vivere. L'io, possiamo ben dire, scompare, e il poeta insiste sulla distanza incolmabile tra 'mente' e 'animo', dove il primo termine indica la natura, i meccanismi indifferenti della materia, mentre il secondo esprime il lato affettivo, la tensione interiore che non crolla, l'energia che vorrebbe opporsi a un disegno impassibile e immobile che comunque la cancellerà: "l'ostinazione dei piccoli esseri", "la trepida lotta" che li accumuna, non viene meno neppure di fronte al "boato della notte" e alla negazione di un'"altra vita". Così la bellezza del libro e la sua verità si realizzano nelle pressoché infinite rifrazioni in cui l'emozione e il dolore incrociano i percorsi del pensiero, e vi si fondono in una cifra lirica che oltrepassa la stessa coraggiosa nitidezza dell'espressione. Da una pagina all'altra, sorretto da un impeccabile equilibrio linguistico, e senza mai nulla perdere dell'incanto della parola, a volte con vere e proprie stilettate, a volte nei passaggi di un dire più fluido, Viviani compone un'opera profondamente unitaria, pur nel cammino intermittente in cui si manifesta. Un'opera in cui il dolore e il senso del finito non si chiudono nella perdita della speranza, ma sottendono il valore che rigermina in una dimensione autentica degli animi.
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