Quare tristis
C'è un diaframma in questo libro, "una membrana segreta", che ripercuote e rimanda le voci, i pensieri, i ricordi, sipario tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Di là gli "sfrattati dal tempo" ci chiamano nel segno di Cristo che è appena disceso nel sepolcro "ut nobis Corpus et Sanguis fiat", ma la cui resurrezione è solo l'irraggiungibile limite della nostra attesa. Un Cristo di passione che Testori avrebbe amato nelle sue piaghe e nel quale Raboni cala una religiosa esperienza del Nulla, cioè un modo di guardare la vita dal punto di vista della morte. Ecco la comunione tra chi è e chi fu, e allora questo Nulla si fa popoloso sebbene, "come uno che sta sognando", Raboni non sappia dirci se è lui che ha attraversato il diaframma o sono loro, i morti, ad avere invaso l'al di qua, dove il male della storia - ed è l'unica certeza che l'al di qua esista - regna ancora sovrano.In un siffatto perenne rischio tra essere e non essere l'ineffabile, vogliamo dire la capacità di vincere la resistenza della parola, diventa per Raboni un habitat naturale e per noi la riprova di una sua grandezza di poeta.
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