Favole di libertà
Durante la prigionia (1926-1937), Gramsci - oltre a scrivere le famose Lettere dal carcere - tradusse, col pensiero ai nipoti, ventiquattro fiabe dei fratelli Grimm, da lui chiamate «novelle elementarissime». Quel lavoro gli permise di contrastare l'abbrutimento di un'incarcerazione illecita e la sofferenza psicologica di quella condizione. Gramsci infatti, attraverso la traduzione, intraprese una fuga immaginaria verso i luoghi autentici ma anche oscuri dell'infanzia, dove la paura si svela non rispondente al rischio effettivo, ma come un'emozione imprevedibile legata alla sfera più profonda della nostra psiche. La raccolta di queste storie, pubblicata postuma, non a caso prese il nome di Favole della libertà: libertà che egli raggiunse impedendo al terrore, atteso in quella condizione violenta e coercitiva, di prendere il sopravvento; libertà di rifiutare la paura imposta per affrontarne, con la propria forza interiore, una illuminante.