Uno dei temi più discussi e controversi degli scorsi mesi è stato l'ondata di antisemitismo che si sarebbe abbattuta sull'Europa e particolarmente sulla Francia in questi anni. Soltanto pochi mesi fa il Primo ministro israeliano esortò gli ebrei francesi (circa seicentomila persone: una delle più importanti comunità ebraiche nel mondo) a emigrare verso Israele. E provocò in tal modo una crisi tra i governi di Parigi e Gerusalemme. Qualcuno potrebbe quindi pensare che questo libro, apparso in inglese nel 2002, è un'opera di grande attualità, destinata a fornire munizioni e argomenti a coloro che hanno denunciato l'esistenza di un antisemitismo francese. Ma farebbe un uso improprio della storia. Lo studio di Michael Curtis concerne il regime di Vichy, vale a dire la Francia in uno dei momenti più tragici e drammaticamente difficili della sua storia; e nulla di ciò che è detto nel libro può essere automaticamente trasposto nell'attualità dei nostri giorni. Lo Stato del maresciallo Pétain nacque dalla sconfitta e suscitò nella società francese reazioni diverse: sconforto, amarezza, giudizi pessimistici sulla sorte delle democrazie parlamentari, rigurgiti reazionari, volontà di riscatto, opportunismo, ma anche, in alcuni settori e per alcuni mesi, la speranza che la guerra perduta avrebbe offerto al Paese l'occasione per una grande rivoluzione morale. Non si spiegherebbe altrimenti, per esempio, il fatto che alcune personalità intelligenti, destinate ad avere un ruolo pubblico nel dopoguerra, abbiano collaborato per alcuni mesi al nuovo regime. Ma tra le molti componenti dello Stato di Pétain vi fu anche quella parte della società francese che aveva mal digerito la sconfitta subita all'epoca del caso Dreyfus e che attribuiva alla vittoria dei 'dreyfusard' la responsabilità delle sventure nazionali nei decenni seguenti: parlamentarismo, rottura dei rapporti con la Chiesa, instabilità governativa, scandali degli anni Venti e Trenta, impreparazione al conflitto nel 1939. Fu certamente questa una delle ragioni che fecero di Vichy il complice, spesso volonteroso e diligente, della politica razziale del Terzo Reich. La grande retata del luglio 1942, nel corso della quale la polizia francese arrestò e trasportò nel Velodromo d'inverno 13.000 ebrei parigini, rimane una brutta pagina di storia nazionale. Confrontato a questo e ad altri episodi, il comportamento dei comandi e dei funzionari italiani nella Francia meridionale, a cui Curtis dedica alcune pagine del libro, appare sempre più degno di menzione e riconoscenza. Benché prevalentemente dedicato alla politica ebraica del regime di Vichy, il libro di Michael Curtis è molto di più. È il ritratto di un grande Paese europeo nella tormenta della Seconda guerra mondiale. Riportati alla luce dalle minuziose ricerche dell'autore i protagonisti di questo studio (intellettuali, politici, militari, funzionari, imprenditori, uomini e donne della Resistenza) formano un quadro della natura umana a cui si adatta bene la parola ambiguità. Pochi furono privi di qualsiasi responsabilità. Pochissimi, tuttavia, furono totalmente privi di umanità, generosità, coraggio o, nel peggiore dei casi, buone intenzioni. Alle vicende francesi di quegli anni può certamente applicarsi il detto di Edmund Burke: "Non conosco il metodo per formulare un'accusa contro un intero popolo".
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Titolo: La Francia ambigua. 1940-1944: il governo di Vichy
Autore:
Marco Sartori,
Michael Curtis
Editore: Corbaccio
Data di Pubblicazione: 2004
Pagine:
Formato:
ISBN: 9788879725989