«Caro amico, sembra proprio che sia giunto il momento di dirsi addio. Non sarà facile per me avere spesso sue notizie. Spero che il destino risparmierà questa casa di Saint-Marcel dove vivono tre esseri che si amano. È qualcosa di così prezioso. L’esistenza umana è così fragile e così esposta che non posso amare senza tremare. Non ho ancora potuto rassegnarmi a che tutti gli esseri umani oltre a me non siano completamente preservati da ogni possibilità di sciagura. E questa è una grave mancanza al dovere di sottomissione alla volontà di Dio. Lei mi dice che nei miei quaderni ha trovato, oltre a cose che aveva pensato, altre che non aveva pensato, ma che si era atteso; dunque le appartengono, e spero che dopo aver subìto in lei una trasmutazione, esse riemergano un giorno in una delle sue opere. Perché è certamente ben preferibile per un’idea unire la propria fortuna alla sua che non alla mia. Sento che la mia quaggiù non sarà mai buona (non è che io ritenga che sarebbe migliore altrove: non lo posso credere). Non sono qualcuno con cui sia un bene unire la propria sorte. Gli esseri umani l’hanno sempre più o meno presagito; ma, non so per quale mistero, le idee sembrano avere meno discernimento. Non auguro niente di più a quelle che mi sono venute incontro che un buon consolidamento, e sarei molto felice che trovassero ospitalità sotto la sua penna cambiando forma in modo da riflettere la sua immagine. Questo diminuirebbe un po’ per me il senso di responsabilità, e il peso schiacciante del pensiero che io sia incapace, a causa delle mie diverse tare, di servire la verità così come mi appare, quando si degna, come mi sembra, di lasciarsi talvolta percepire da me, con un inconcepibile eccesso di misericordia. Prenderà tutto questo, penso, con la stessa semplicità con cui glielo dico. Per chi ama la verità, nell’operazione di scrivere, la mano che tiene la penna e il corpo e l’anima che vi sono uniti, con tutto il loro involucro sociale, sono cose di infinitesimale importanza. Piccolezze di infinitesimo ordine. È per lo meno l’importanza che io attribuisco, riguardo a quest’operazione, non soltanto alla mia persona, ma anche alla sua e a quella di tutti gli scrittori che stimo. La persona di coloro che in misura maggiore o minore disprezzo conta per me solo in questo ambito. Non so se le ho detto, a proposito di questi quaderni, che può leggerne i passi che vorrà a chi vorrà, ma che non bisogna lasciarne nessuno nelle mani di qualcuno... Se per tre o quattro anni non sentirà parlare di me, se ne consideri interamente proprietario. Le dico tutto questo per partire con lo spirito più libero. Mi dispiace soltanto di non aver potuto confidarle tutto quello che porto ancora in me e che non è sviluppato. Ma fortunatamente quello che è in me, o è senza valore, oppure risiede fuori di me, sotto una forma perfetta, in un luogo puro dove non può subire alcun attacco e da dove può sempre ridiscendere. Pertanto, nulla di quanto mi concerne può essere di una qualche importanza. Mi piace anche pensare che, dopo il leggero choc della separazione, qualunque cosa mi possa accadere, lei non proverà mai alcun dispiacere per questo, e se talvolta le accadrà di pensare a me sarà come a un libro che si è letto nell’infanzia. Non vorrei avere mai altro spazio nel cuore di nessuno degli esseri che amo, per essere sicura di non recare loro mai alcuna pena. Non dimenticherò la generosità che l’ha spinta a dirmi e a scrivermi alcune di quelle parole che riscaldano, anche quando, come nel mio caso, non è possibile credervi. Ma sono comunque un sostegno. Troppo forse. Non so se potremo per molto tempo ancora darci reciproche notizie. Ma occorre pensare che questo non ha alcuna importanza». (Lettera di Simone Weil a Gustave Thibon, 1942). Con uno scritto di Gustave Thibon e una nota di Massimo Raffaeli.
Prezzo: € 23,00
Titolo: L'ombra e la grazia
Autore:
Simone Weil
Editore: SE
Data di Pubblicazione: 2024
Pagine: 208
Formato: copertina-morbida
ISBN: 9788867238491