Questo libro, che reagisce senza forzature polemiche alla retotica sulla "Vita" sviluppatasi nel quadro del dibattito sull'aborto, intende analizzare le condizioni in cui, nel corso di una generazione, nuove tecniche e forme di espressione hanno completamente mutato il modo di concepire e vivere la gravidanza. Nel giro di pochi anni, infatti, il bambino è diventato un "feto", la donna incinta un "sistema uterino di approvviggionamento", il nascituro "una vita" e la vita "un valore cattolico- laico" quindi onnicomprensivo. Storica delle donne, con alle spalle rigorose ricerche sul vissuto del corpo femminile nel secolo XVIII, l'autrice si limita a sostenere la tesi, elaborata anche nel corso di un'interrotta conversazione con Ivan Illich, secondo cui il feto intrauterino del quale oggi tutti parlano non è una creatura di Dio o della "natura", bensì della società moderna. E le domande sono: in che modo artificiale è nato questo feto? Perchè la donna incinta è diventata l'ambiente uterino per l'approvvigionamento di un feto? Perchè le donne, in base a erronei ragionamenti scientifico- popolari e a prediche pseudotradizionali servono quella vita della quale credono di doversi assumere la "responsabilità"? Perchè l'acquisizione del feto priva la donna del proprio corpo e la degrada al ruolo di cliente bisognosa non soltanto di assistenza, ma anche di consulenza?
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Titolo: Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull'abuso del concetto di vita
Autore:
Barbara Duden
Editore: Bollati Boringhieri
Data di Pubblicazione: 1994
Pagine: 132
Formato:
ISBN: 9788833908441