Il ritratto di Dorian Gray

Oscar Wilde, Francesco Ferrucci, F. Ferrucci

Nel mio continuo entrare e uscire nella stanza del ritratto (un traduttore finisce con l'acquistare la familiarità del maggiordomo) venni ad osservare alcune cose. Intanto che la più continua affermazione teorica del libro, quella contro l'autobiografico romanzesco, era una mossa difensiva. L'ultima cosa che Oscar Wilde voleva era essere accusato di aver trasporso se stesso e le sue vivende nel Ritratto. Ma in realtà era prorpio così. Senza la percezione di un autobiografismo trasposto, il romanzo perdeva qualcosa del significato, e anzitutto il suo bisogno di procedere per emblemi altamente ritualizzati. Si prenda il caso più ovvio: questa è anche una storia di amori omosessuali, ma mai una volta che vi si riferissca apertamente. Di sesso si parla in modo obliquo e metaforico e deliberatamente floreale, secondo il gusto anche estetico del tempo. Il riserbo non è dovuto al pudore o ad autocensura consapevole, come nel caso dei narratori di amori eterosessuali, ma piuttosto alla necessità di adottare un linguaggio cifrato, vagamente esotico, se non per gli affiliati alla setta dei "fedeli d'amore" di quella preferenza. Il paradosso narrativo del Ritratto è di essere stato scritto per un gruppo speciali di lettori, e di aver travestito in modo quasi perfetto questa sua deliberata destinazione. Dalla Nota del traduttore

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Titolo: Il ritratto di Dorian Gray
Autore: Oscar Wilde, Francesco Ferrucci, F. Ferrucci
Editore: Einaudi
Data di Pubblicazione: 1997
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ISBN: 9788806139056