«È notorio» scriveva Massimo d'Azeglio pochi giorni dopo la proclamazione dell'unità d'Italia «che, briganti o non briganti, i napoletani non ne vogliono sapere di noi e che ci vogliono sessanta battaglioni, e pare che non bastino, per tenerci quel regno. Forse c'è stato qualche errore'» Era il 1861. L'Italia non era ancora fatta, anche se era già stata proclamata regno. Sfumato il progetto federalista di Cavour, il sogno unitario di Garibaldi e di Mazzini tardava a realizzarsi. Per tutto il decennio successivo il neonato Regno d'Italia, privato della lucida guida del «tessitore», morto anzitempo, fu affidato a uomini che non erano all'altezza del grande statista. Invece di attuare l'ampio decentramento regionale da lui auspicato, si preferì rinviarlo «provvisoriamente» e «piemontesizzare» il paese, trasferendo pari pari lo Statuto albertino del vecchio Regno di Sardegna nelle regioni annesse. Le insorgenze che seguirono nell'Italia meridionale furono scambiate per mero brigantaggio da liquidare con la forza, ignorando le motivazioni sociali che le alimentavano. Ne derivò una sorta di guerra civile che insanguinò per anni il paese. Inoltre la rozza campagna anticlericale, pur giustificata dalla stolta politica temporale di Pio IX, divise gli italiani anche nel campo della religione, l'unico collante che avrebbe potuto tenerli insieme. Arrigo Petacco ricostruisce il clima e le premesse del decennio turbolento che si concluse nel 1870 con "Roma capitale". Rivivono in questo libro, sfrondate dagli orpelli della retorica risorgimentale, le imprese dei briganti, che per cinque anni impegnarono la metà dell'intero esercito italiano; gli eroismi di tanti giovani legittimisti che, affascinati dall'intrepida Maria Sofia, ultima regina di Napoli, si immolarono per la difesa di un mondo destinato a scomparire. Nel racconto, intessuto di oscuri retroscena, assistiamo alle spedizioni fallimentari di Garibaldi in Aspromonte e a Mentana, ma anche all'inedito tentativo compiuto dal presidente Lincoln di affidare all'invitto, ma frustrato, generale il comando dell'esercito "nordista" impegnato nella guerra di secessione. Rivive, nella sua cruda realtà, anche la terza guerra d'indipendenza, che rivelò l'inadeguatezza della nostra orgogliosa casta militare, battuta a Custoza e naufragata a Lissa (con la sola eccezione della vittoria garibaldina di Bezzecca), che ci consentì di ottenere il Veneto "in limosina", grazie a un umiliante escamotage di Napoleone III. Pur essendogli debitrice della raggiunta unità, l'Italia non esitò ad approfittare della sua disgrazia (la sconfitta subita a Sedan nella guerra contro la Prussia) per impadronirsi di Roma, rimasta indifesa, e consentire così a Vittorio Emanuele II di esprimere, davanti al portone del Quirinale, la sua soddisfazione con una frase diventata storica: "Finalment ij suma!". Ma gli errori intuiti da d'Azeglio si perpetuarono nella nuova compagine unitaria, che a lungo continuò a sovrapporsi come un corpo estraneo a un'Italia intimamente frammentata. Di quegli errori paghiamo ancora oggi le conseguenze.
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Titolo: O Roma o morte. 1861-1870: la tormentata conquista dell'unità d'Italia
Autore:
Arrigo Petacco
Editore: Mondadori
Data di Pubblicazione: 2010
Pagine: 155
Formato: Rilegato
ISBN: 9788804604570